Il titolo cageano non deve lasciar supporre l'introduzione di un metodo compositivo eterodosso rispetto ai fondamenti della pratica di Fedele. La ricerca che si pone alla base di questi cinque pezzi è invece del tutto coerente e anzi assai significativa. La forma dello studio rivela l'avvio di un processo di approfondimento della scrittura strumentale che sfocerà, tre anni più tardi, nel Concerto per pianoforte e orchestra. Oggetto delle Études boréales è la risonanza, intesa non solo come fenomeno acustico, ma anche come paradigma per l'affermazione di identità di ogni oggetto sonoro. Accanto ad essa l'esplorazione concerne principalmente il timbro e la denominazione boréales attiene proprio alla predominanza di colori dalla luminosità nitida, tersa, radente. La memoria duna percezione visiva, custodita dopo il primo soggiorno di Fedele in Finlandia, si trasforma in una luce sonora fredda ma pulsante.
Benché di breve durata, i cinque studi si configurano come microrganismi dotati ciascuno di una propria identità formale, definita quasi sempre dalla contrapposizione o dal dialogo tra princìpi eterogenei. Queste le indicazioni agogiche per ciascuno di essi: I Deciso; II Calmo e meditativo; III Un poco inquieto; IV Con ampio respiro; V Vivo.
a cura di Claudio Proietti
Scrive Fedele: "La composizione del ciclo delle Études australes, ideale complemento delle Études boréales, è un progetto che si realizza finalmente dopo alcuni anni di gestazione. Le prime tre sono state commissionate dallo Château de Grignan e composte per il pianista Pascale Berthelot. Il quarto e il quinto brano della raccolta sono stati ultimati successivamente e sono stati pezzo obbligatorio al Concorso pianistico 'Messiaen' tenutosi nel novembre 2003 a Parigi.
Ho scritto questi studi dieci anni dopo la composizione delle Études boréales. In esse avevo esplorato principalmente la dimensione precipua del timbro: si tratta, quindi, di studi sui diversi tocchi che producono colori differenti. Il titolo boréales era suggerito dalla preminenza di una luce radente, nitida, netta, come quella che contraddistingue l'ambiente geografico cui il titolo fa riferimento e che caratterizza l'atmosfera di tutta la composizione. Le Études australes sono invece studi di tecnica trascendentale. Sono ispirati anch'essi a un ambiente geografico capace di stimolare l'immaginazione compositiva; in questo caso esso è addirittura dettagliato esplicitamente: Tierra del fuego, Platea di Weddell, Cape Horn, Aptenodytes, Chionis alba. Dalle immagini di tali luoghi l'immaginazione del compositore, pur rifiutando qualsiasi intenzione descrittiva, trae una forte suggestione metaforica che condiziona inevitabilmente l'estetica e la forma dei brani".
Dunque, a differenza della prima raccolta, le Études australes non hanno un carattere aforistico, ma sono di dimensioni piuttosto ampie e mantengono uno stretto rapporto con la grande tradizione dello studio pianistico. Ciò riguarda in particolar modo il concetto di esplorazione e sviluppo di una tecnica specifica che, in questo ciclo, si rivolge soprattutto ad aspetti di tipo meccanico-digitale, sebbene in un contesto estetico che, secondo l'autore, intende trascendere il puro virtuosismo. Confermando una connotazione propria del periodo in cui furono composti, gli studi sono tutti improntati a un ambiente armonico fortemente cromatico. Nel primo, Tierra del fuego, le microcellule di articolazione un disegno velocissimo a mani alternate e sovrapposte evidentemente memore dei Feux d'artifice debussiani, guizzanti moti scalari, martellati disegni discendenti vengono gradualmente "spalmate" su tutta l'estensione della tastiera secondo un procedimento che ricalca modalità frattaliche. Il secondo, Platea di Weddell, è uno studio di impronta sinfonica, in cui, secondo Fedele, la difficoltà tecnica più ardua per il pianista sta proprio nella parte di relativa minor importanza compositiva: i trilli dai quali emerge gradualmente il procedimento cromatico degli accordi. La partitura di questo studio è piuttosto complessa (in particolar modo per le sovrapposizioni ritmiche e dinamiche) e alcuni passaggi sono proposti su cinque righi per chiarezza di lettura. Nel terzo studio, Capo Horn, si alternano due ambienti estetici diversi seppur collegati in modo funzionale. Il primo è basato su frammenti scalari di dimensioni variabili e sul ribattuto, dapprima localizzati nel registro più grave dello strumento, poi proiettati negli altri registri. L'effetto è quello di una sorta di ribollio primordiale, di un rigurgito vulcanico che dà luogo alla percezione di una minacciosa massa incandescente. Il secondo ambiente è invece basato su una serie di accordi che, sull'inerzia ritmica delle figure scalari e ribattute, esplode in grumi di masse disomogenee per densità e ritmo, come lapilli di un'eruzione vulcanica. Dalla dialettica tra i due ambienti si sviluppa un gioco di intrecci, stratificazioni, proiezioni estremamente dinamico. Il quarto, dal titolo Aptenodytes (il nome scientifico del pinguino imperatore), è tutto un risuonare di scampanii fortemente spazializzati ai quali si contrappongono il rimbombare cupo di suoni gravi, improvvise sospensioni e saettanti guizzi verso l'alto. Lo studio è costruito sull'equilibrio architettonico e discorsivo fra questi quattro elementi; non possiede uno sviluppo di tipo narrativo né tanto meno elaborativo dei materiali, ma vive della relazione vitale e imprevedibile fra masse contrastanti. Un gioco che potrebbe prolungarsi all'infinito, ma viene interrotto dal pietroso scivolamento negli abissi finale. Il quinto studio, Chionis alba (nome di un uccello antartico), è un volo incessante di arpeggi tutto giocato nella zona fredda e luminosa delle ottave acute del pianoforte. Netto e distinto, un moto nervoso di suoni ribattuti che, pur velocissimo, appare quasi fermo al confronto designa la seconda parte. La successiva ripresa di entrambe le sezioni porta al finale, vibrante, vuoto e sfuggente.
a cura di Claudio Proietti
The Cage-like title should not lead one to suppose any deviation from Fedele's habitual compositional practice. The underlying stylistic approach to these five pieces is in reality perfectly coherent and actually quite significant. The direction taken by his research reveals the onset of a deeper exploration of his writing for the instrument that resurfaces, three years later, in the Concerto for piano and orchestra. The main focus of the Études boréales is resonance, not only in the sense of an acoustic phenomenon, but also as a paradigm for the affirmation of the identity of every sonic object. This is accompanied by an exploration that mainly concerns the timbre and the name boréales in fact refers to the predominance of colours of a clear, terse and skimming brightness. An element of the composer's visual memory, following his first visit to Finland, is transformed into a sonic light that is "cold but pulsating".
Although brief in length, the five studies can be considered micro-organisms each endowed with its own formal identity, characterized almost always by the contrast or dialogue between heterogeneous principles. The agogic markings for the five pieces are: I "Deciso"; II "Calmo e meditativo"; III "Un poco inquieto"; IV "Con ampio respiro"; V "Vivo".
by Claudio Proietti