De li duo soli et infiniti universi per due pianoforti e tre gruppi orchestrali |
Organico: | (4.4.4.4. - 4.4.4.0. - 4 Perc. - Ar. - A.) | |
Anno di composizione: | 2001 | |
(c): | Suvini Zerboni 2001 | |
Numero di catalogo: | 11930 (partitura in vendita o disponibile con il materiale a noleggio e in visione)
11931 (materiale a noleggio) |
|
Commissioni: | Orchestre de Paris | |
Prima esecuzione: | Paris, Cité de la Musique, 28.3.2002
pf.i A. Planès, C. Tiberghien; Orchestre de Paris, Ensemble Intercontemporain, dir. Ch. Eschenbach |
|
Durata: | 25' | |
Molteplici connessioni e riferimenti culturali si intersecano in quest'opera che occupa un posto di straordinario significato nel catalogo di Ivan Fedele e rappresenta, a nostro parere, uno dei suoi esiti più emozionanti.
Innanzitutto l'origine. Il lavoro è stato scritto, su invito dell'Orchestre de Paris, per il bicentenario della nascita di Hector Berlioz e del grande autore francese recepisce, insieme a un trattamento lussureggiante del colore strumentale, la precocissima intuizione della centralità della spazializzazione del suono come fattore determinante nell'atto percettivo e nel processo 'narrativo'. Questo elemento tocca evidentemente uno dei lati più sensibili della ricerca di Fedele che proprio alla sua esplorazione integrale ha dedicato, da molti anni, tutte le sue energie.
In secondo luogo lo spunto. Si tratta di un'opera del filosofo quattrocentesco italiano Giordano Bruno intitolata De l'infinito universo e mondi. Essa non solo ha ispirato il titolo della composizione che volutamente vuol suonare 'apocrifo', ma, secondo le affermazioni di Fedele, ne ha anche suggerito la chiave di lettura dal punto di vista formale ed estetico. In particolare il compositore ha evidenziato due citazioni dal testo: "Il centro è il punto dal quale io guardo dovunque io mi trovi"; "Materia e forma sono due aspetti della medesima sostanza". Fedele sostituisce il verbo "guardo" con "ascolto", e scrive: "Possiamo considerare questa affermazione del filosofo nolano come la chiave di volta delle questioni inerenti all'ascolto di un'opera musicale spazializzata". Riguardo alla seconda frase, il compositore ritiene che essa "potrebbe ben rappresentare il cuore delle problematiche dell'estetica". E poi prosegue: "Credo proprio che queste relazioni, certo surrettizie ma non improprie, non sarebbero per niente dispiaciute a Giordano Bruno, il quale cercò sempre di collegare le differenti attività del pensiero umano e le sue discipline in un unico corpus organico e internamente correlato".
In De li duo soli et infiniti universi i due pianoforti (i due "soli", nel senso sia di stelle che di solisti) sono gli astri che illuminano ciascuno un universo, cioè le due parti simmetriche in cui l'orchestra è stata divisa. Questi universi sono in realtà "infiniti", o meglio molteplici, perché svariate sono le metamorfosi che essi subiscono sotto l'influenza della materia-luce che in essi proiettano-irradiano i soli-solisti. Gli strumenti del terzo gruppo orchestrale (formato dai quattro percussionisti e dall'arpa), posto al centro della scena, svolgono la funzione di satellite ora dell'uno ora dell'altro, ora di entrambi i pianoforti. Ciò è evidente nel Preludio che apre la composizione. Le due grandi parti in cui si articola l'opera si intitolano Zenit ("Sommets inconnus") e Nadir ("Abysses apparents"). La loro forma è una libera parafrasi musicale del loro significato astronomico.
In Zenit, l'iterazione di una breve cellula intervallare (prima di nona minore, poi di settima maggiore) descrive nel tempo e nello spazio tracce di luce che muovono dal registro più acuto dei pianoforti fino a raggiungere lentamente ma inesorabilmente le regioni medio gravi. Nell'Interludio, senza i pianoforti, i due universi cercano di sincronizzarsi in un unico ritmo, in un'unica fase, senza però mai riuscirci. Solo quando i "soli-solisti" si riaccendono ricompare un'armonia 'orbitale' più percettibile. Ciò accade in Nadir (il cui significato astronomico è l'opposto di zenit) quando le figure principali, nate da un codice genetico di intervalli di seconda maggiore e seconda minore, si addensano in grappoli di note nell'estremo registro grave. Qui il percorso tende a svilupparsi gradualmente verso le regioni acute nelle quali finalmente solisti e gruppi orchestrali, sinora ruotanti su orbite più o meno indipendenti anche se sempre correlate, si riuniscono sovrapponendosi e trovando così l'unità. Il Postludio "...ex machina" conclusivo è, come ha scritto l'autore, "polvere di stelle".
a cura di Claudio Proietti
A whole range of cultural links and references are merged in this work, which occupies a place of great significance in Ivan Fedele's output and, in our opinion, represents one of his most accomplished creations.
First of all its origin. The work was written on the request of the Orchestre de Paris to mark the bicentenary of the birth of Hector Berlioz. And in fact it not only emulates the great French composer's luxurious treatment of instrumental colour, but also his highly precocious realization of the fundamental importance of the spatialization of sound as a determinant factor in the act of perception and the process of 'narration'. The latter element clearly touches on one of the most active sides of Fedele's research, an aspect in which he had invested much of his energy for many years.
In the second place its starting point. A work by the 15th century Italian philosopher Giordano Bruno entitled De l'infinito universo e mondi not only inspired the title, which sounds deliberately 'apocryphal', but, as Fedele tells us, also provided the work's formal and aesthetic key. In particular the composer focuses on two quotations from the text: "The centre is the point from which I look wherever I am" and "Matter and form are two aspects of the same substance". In the first case, Fedele substitutes "I look" with "I hear", and writes: "We can consider this statement by the philosopher from Nola as the keystone to questions regarding how to listen to a spatialized musical composition". As for the second phrase, the composer suggests that "it could well represent the core of the problems of aesthetics". And he goes on: "I really believe that these comparisons, certainly surreptitious but not improper, may well have been appreciated by Giordano Bruno, who always tried to unite the different activities of human thought and its disciplines into a single and internally correlated organic corpus".
In De li duo soli et infiniti universi the two pianos ("soli" means "solos" but also "suns") are the two stars that each illuminate a universe, namely, the two symmetrical parts into which the orchestra has been divided. These universes are actually "infinite", or else multiple, due to the countless metamorphoses they can undergo under the influence of the matter-light that the suns-soloists project-irradiate into them. The instruments of the third orchestral group (made up of the four percussionists and the harp), placed in the centre of the stage, acts as a satellite of one piano or the other, or of both. This can be clearly seen in the Preludio that opens the work. The two broad parts into which the piece is divided are named Zenit ("Sommets inconnus") and Nadir ("Abysses apparents"). Their form is a free musical paraphrase of their astronomical meaning.
In Zenit, the reiteration of a short intervallic cell (first of a minor ninth, then a major seventh) design in time and space traces of light that slowly and inexorably move from the highest register of the pianos to the medium-low regions. In the Interludio, without the pianos, the two universes try to synchronize in a single rhythm, a single phase, but without ever succeeding. Only when the "suns-soloists" re-ignite does a more perceptible 'orbital' harmony reappear. This happens in Nadir (which in astronomical terms means the opposite of zenith) when the main figures, stemming from a genetic code of intervals of a major second and a minor second, thicken into clusters of notes in the extreme lowest register. From here the music gradually evolves towards the upper regions where the soloists and orchestral groups, till now rotating in orbits more or less independent though always correlated, are at last united, overlapping with one another and thus finding unity. The concluding Postludio "...ex machina", as the composer writes, is "star dust".
by Claudio Proietti
Ivan Fedele - De li duo soli et infiniti universi (1/3)
| |||
Ivan Fedele - De li duo soli et infiniti universi (2/3)
| |||
Ivan Fedele - De li duo soli et infiniti universi (3/3)
| |||