Scrive Fedele: "La composizione del ciclo delle Études australes, ideale complemento delle Études boréales, è un progetto che si realizza finalmente dopo alcuni anni di gestazione. Le prime tre sono state commissionate dallo Château de Grignan e composte per il pianista Pascale Berthelot. Il quarto e il quinto brano della raccolta sono stati ultimati successivamente e sono stati pezzo obbligatorio al Concorso pianistico 'Messiaen' tenutosi nel novembre 2003 a Parigi.
Ho scritto questi studi dieci anni dopo la composizione delle Études boréales. In esse avevo esplorato principalmente la dimensione precipua del timbro: si tratta, quindi, di studi sui diversi tocchi che producono colori differenti. Il titolo boréales era suggerito dalla preminenza di una luce radente, nitida, netta, come quella che contraddistingue l'ambiente geografico cui il titolo fa riferimento e che caratterizza l'atmosfera di tutta la composizione. Le Études australes sono invece studi di tecnica trascendentale. Sono ispirati anch'essi a un ambiente geografico capace di stimolare l'immaginazione compositiva; in questo caso esso è addirittura dettagliato esplicitamente: Tierra del fuego, Platea di Weddell, Cape Horn, Aptenodytes, Chionis alba. Dalle immagini di tali luoghi l'immaginazione del compositore, pur rifiutando qualsiasi intenzione descrittiva, trae una forte suggestione metaforica che condiziona inevitabilmente l'estetica e la forma dei brani".
Dunque, a differenza della prima raccolta, le Études australes non hanno un carattere aforistico, ma sono di dimensioni piuttosto ampie e mantengono uno stretto rapporto con la grande tradizione dello studio pianistico. Ciò riguarda in particolar modo il concetto di esplorazione e sviluppo di una tecnica specifica che, in questo ciclo, si rivolge soprattutto ad aspetti di tipo meccanico-digitale, sebbene in un contesto estetico che, secondo l'autore, intende trascendere il puro virtuosismo. Confermando una connotazione propria del periodo in cui furono composti, gli studi sono tutti improntati a un ambiente armonico fortemente cromatico. Nel primo, Tierra del fuego, le microcellule di articolazione un disegno velocissimo a mani alternate e sovrapposte evidentemente memore dei Feux d'artifice debussiani, guizzanti moti scalari, martellati disegni discendenti vengono gradualmente "spalmate" su tutta l'estensione della tastiera secondo un procedimento che ricalca modalità frattaliche. Il secondo, Platea di Weddell, è uno studio di impronta sinfonica, in cui, secondo Fedele, la difficoltà tecnica più ardua per il pianista sta proprio nella parte di relativa minor importanza compositiva: i trilli dai quali emerge gradualmente il procedimento cromatico degli accordi. La partitura di questo studio è piuttosto complessa (in particolar modo per le sovrapposizioni ritmiche e dinamiche) e alcuni passaggi sono proposti su cinque righi per chiarezza di lettura. Nel terzo studio, Capo Horn, si alternano due ambienti estetici diversi seppur collegati in modo funzionale. Il primo è basato su frammenti scalari di dimensioni variabili e sul ribattuto, dapprima localizzati nel registro più grave dello strumento, poi proiettati negli altri registri. L'effetto è quello di una sorta di ribollio primordiale, di un rigurgito vulcanico che dà luogo alla percezione di una minacciosa massa incandescente. Il secondo ambiente è invece basato su una serie di accordi che, sull'inerzia ritmica delle figure scalari e ribattute, esplode in grumi di masse disomogenee per densità e ritmo, come lapilli di un'eruzione vulcanica. Dalla dialettica tra i due ambienti si sviluppa un gioco di intrecci, stratificazioni, proiezioni estremamente dinamico. Il quarto, dal titolo Aptenodytes (il nome scientifico del pinguino imperatore), è tutto un risuonare di scampanii fortemente spazializzati ai quali si contrappongono il rimbombare cupo di suoni gravi, improvvise sospensioni e saettanti guizzi verso l'alto. Lo studio è costruito sull'equilibrio architettonico e discorsivo fra questi quattro elementi; non possiede uno sviluppo di tipo narrativo né tanto meno elaborativo dei materiali, ma vive della relazione vitale e imprevedibile fra masse contrastanti. Un gioco che potrebbe prolungarsi all'infinito, ma viene interrotto dal pietroso scivolamento negli abissi finale. Il quinto studio, Chionis alba (nome di un uccello antartico), è un volo incessante di arpeggi tutto giocato nella zona fredda e luminosa delle ottave acute del pianoforte. Netto e distinto, un moto nervoso di suoni ribattuti che, pur velocissimo, appare quasi fermo al confronto designa la seconda parte. La successiva ripresa di entrambe le sezioni porta al finale, vibrante, vuoto e sfuggente.
a cura di Claudio Proietti
Fedele writes: "The composition of the cycle of Études australes, the ideal complement to the Études boréales, is a project that was finally realized after several years of gestation. The first three were commissioned by the Château de Grignan and composed for the pianist Pascale Berthelot. The fourth and fifth were added later and constituted a compulsory piece for the 'Messiaen' piano competition held in Paris in November 2003.
I wrote these studies ten years after I had written the Études boréales. In those I had mainly explored the essential dimension of timbre: they are therefore studies on the various touches that produce different colours. The title boréales was suggested by the pre-eminence of a skimming light, crisp and clear, like that typical of the geographic area referred to in the title, which pervades the atmosphere of the entire composition. The Études australes on the other hand are studies in transcendental technique. These too take their inspiration from a geographic zone able to stimulate a composer's imagination and whose details in this case are explicitly stated: Tierra del fuego, Platea di Weddell, Cape Horn, Aptenodytes, Chionis alba. The images of such places conjure up highly metaphorical impressions in the composer's mind though without resorting to mere description that inevitably condition the aesthetics and form of the pieces".
Unlike the first series, then, the Études australes are not aphoristic in character, but are somewhat broader in dimension and remain closely related to the great tradition of piano studies. This is particularly true as far as the concept of the exploration and development of a specific technique is concerned, which in this cycle focuses above all on mechanical aspects and finger agility, although in an aesthetic context which, according to the composer, wishes to transcend any pure virtuosity. In keeping with a characteristic quite typical of the period in which they were written, the studies are all marked by a highly chromatic harmonic environment. In the first, Tierra del fuego, the fundamental micro cells a rapid design played by alternate and overlapping hands with clear echoes of Debussy's Feux d'artifice, dazzling flashes of scales, pounded falling designs are gradually 'spread' across the whole range of the keyboard following procedures based on fractal models. The second study, Platea di Weddell, is more symphonic in nature, where, according to Fedele, the most notable technical difficulty for the pianist lies in a feature with relatively less compositional importance: the trills that gradually determine the chromatic chords. The score of this study is quite complex (particularly due to the rhythmic and dynamic overlapping) and some passages are written on five staves for the sake of clarity. The third study, Cape Horn, sees the alternation of two different aesthetic environments, albeit linked in function. The first is based on fragments of scales of varying length and on repetition, first in the lowest register of the piano, then moving into the other ranges. The effect is that of a sort of primeval broth, a volcanic gush that gives the impression of a threatening incandescent mass. The second environment, on the other hand, is based on a series of chords which, when the rhythmic of the scale figures and repetitions become inert, explodes into chunks of material varying in density and rhythm, like the lapillus of a volcanic eruption. The dialectic between the two environments gives rise to an extremely dynamic network of interconnections, stratifications and projections. The fourth, entitled Aptenodytes (the scientific name of the Emperor penguin), is a continuum of highly spatialized resounding, counterposed by the dark rumblings of lower sounds, sudden pauses and darting upward flashes. The study is constructed on an architectonic and discursive balance between these four elements; it involves no development of a narrative type nor any elaboration of the material, but focuses on the vital and unpredictable relation between contrasting masses. A game that could go on ad infinitum, but is interrupted by the concluding stony slide into the abysses. The fifth study, Chionis alba (the name of another Antarctic bird), is a constant flight of arpeggios all played in the cold and bright zone of the uppermost octaves of the piano. Sharp and distinct, the second part is marked by a restless movement of repeated notes, which despite being very fast seems almost static in comparison to the first. The subsequent reprisal of both sections leads to the vibrant, empty and fleeting conclusion.
by Claudio Proietti