L'ispirazione spirituale è sempre stata presente in modo più o meno esplicito in molta musica di Fedele e tuttavia essa si è progressivamente svelata con connotazioni mistiche, o addirittura religiose, in molti titoli successivi al 2000. Si pensi ad Animus Anima, Ruah, Odos, Antigone e, ovviamente, allo Stabat Mater. È anche il caso di 33 noms, grande partitura nata sulla base del ciclo poetico di Marguerite Yourcenar Les trente-trois noms de Dieu, pubblicato per la prima volta nel 1986. Si tratta, ovviamente, di una meditazione laica sul nome di Dio che viene pronunciato attraverso le cose della vita terrena: le immagini, i suoni, gli animali, le sensazioni, i fiori, i sapori, i fenomeni della natura, il corpo umano, la musica, gli odori. Fedele incontrò questo testo per caso ricevendone immediatamente una grande impressione, da lui stesso testimoniata con queste parole: "Quei versi arrivavano nel profondo dell'anima e risuonavano come qualcosa da sempre conosciuto, come una preghiera, un testo sacro o un'antica profezia a cui si dia finalmente ascolto. La cosa che mi colpì in modo particolare fu quando mi resi conto che, nel rileggere alcuni di quei versi, la poesia si era, in me, già trasformata in un canto interiore". Da qui alla convinzione di mettere in musica i versi della Yourcenar, il passo fu breve e l'occasione di attuarla fu fornita dalla commissione affidatagli pochi mesi dopo da Stéphane Lissner per la Filarmonica della Scala.
Il problema principale dal punto di vista compositivo è rappresentato dalla struttura poetica del ciclo, articolata in frammenti brevissimi, talvolta di una sola parola, senza l'evidenza di macroforme. Trentadue piccoli poemi più un disegno, al n. 12, che Fedele ha interpretato come un cielo stellato. Proprio questo pannello, che il compositore ha affidato esclusivamente all'orchestra ricreando le atmosfere senza tempo e senza aria già trovate in alcuni passaggi di De li duo soli et infiniti universi (2001), costituisce il punto di volta formale essendo replicato fra i numeri 23 e 24 "a mo' di meditazione". Si stabilisce così una sostanziale ed equilibrata tripartizione del brano. Che per il resto, però, è costituito di frammenti unici, di durata variabile fra i pochi secondi e un paio di minuti, nei quali la tavolozza orchestrale, approntata con un organico sontuoso dal punto di vista coloristico, può esplodere in schegge di straordinario impatto emotivo. Schegge di senso musicale che utilizzano le più svariate tecniche di scrittura, quasi che qui Fedele abbia potuto concentrare in intuizioni istantanee la sua trentennale ricerca compositiva. Come, certo non a caso, mostrano gli evidenti richiami di alcune didascalie (Profili in eco, Duo en résonance, Boreale...) o le esplicite autocitazioni.
La funzione principale dell'orchestra non è però certo quella di creare un ambiente spettacolare popolato di figure evidenti, pregnanti e peculiari, bensì, come sempre in Fedele, di porsi come grande ambiente di risonanza nel quale in questo caso il canto può vibrare e che dal canto è fatto vibrare. Dice Fedele: "L'orchestra si offre come un luogo metaforico della scoperta. La scoperta della percezione semplice e immediata dell'universo, sia attraverso i sensi sia attraverso i sentimenti, alla quale l'uomo perviene con un estremo sforzo di sintesi e umiltà".
La voce dell'uomo, espressa dalle parole di Marguerite Yourcenar, è sostanziata in quella di due soprani, in base a una tecnica di scrittura che Fedele ha portato a un grado di raffinatezza estremo. Ancora secondo le sue parole, "l'utilizzazione di due voci femminili ha consentito di proiettare su diversi piani quelle schegge di senso che il testo proietta come raggi di un sole abbagliante; ha permesso di creare chiaroscuri, fitte polifonie, risonanze interne, echi, riverberi, 'organa' a due voci, melopee intrecciate e sussurri appena bisbigliati in un susseguirsi di scene cangianti come lo sono le atmosfere che ciascuna breve poesia suggerisce". Il testo originale francese è presentato integralmente, sovrapposto alla sua quasi integrale traduzione italiana secondo un criterio di misteriosa e intrigante risonanza.
a cura di Claudio Proietti
Spiritual inspiration has always been present more or less explicitly in much of Fedele's music and has, moreover, progressively taken on mystic, or even religious, connotations in many works written after 2000. For instance in Animus Anima, Ruah, Odós, Antigone and, of course, the Stabat Mater. This is also true of 33 noms, a large score inspired by Marguerite Yourcenar's cycle of poems Les trente-trois noms de Dieu, first published in 1986. It is, of course, a secular reflection on the name of God that is expressed through things pertaining to earthly life: images, sounds, animals, sensations, flowers, tastes, the phenomena of nature, the human body, music, smells. Fedele came across this text by chance and was immediately struck by it, as he himself describes: "These verses came from the depth of the soul and resounded like something always known, like a prayer, a sacred text or an ancient prophecy which is finally heard. The thing that struck me most was that I realised how, on rereading some of the verses, the poetry had already been transformed into music inside my head". He soon became convinced that he should set Yourcenar's verses to music, and the opportunity presented itself some months later when he was commissioned by Stéphane Lissner to write a piece for the Filarmonica della Scala.
The main problem from a compositional point of view was the poetic structure of the cycle, made up of very short fragments, sometimes just a single word, without any hint of a macro form. Thirty-two brief poems and a drawing, at n. 12, which Fedele interpreted as a starry night. It was precisely this panel, which he set exclusively for the orchestra, recreating the timeless and airless atmospheres already found in certain passages of De li duo soli et infiniti universi (2001), that constitutes the turning point in the form and which returns between numbers 23 and 24 "by way of meditation". In this way a substantial and well-balanced division into three parts is achieved. The rest, however, consists of single fragments, lasting from just a few seconds to a couple of minutes, in which the orchestral palette, prepared with an instrumentation offering a sumptuous range of colour, is capable of exploding into shreds of extraordinary emotional impact. Shreds of musical sense that employ the most varied techniques of writing, almost as if Fedele was able to concentrate his thirty years of compositional research into instantaneous intuitions. As is clear, and surely not by chance, from the precise references made in some captions (Profili in eco, Duo en résonance, Boreale...) or the explicit self-quotations.
The main role of the orchestra, however, is definitely not to create a spectacular environment populated by clear, pregnant or peculiar figures, but rather, as always in Fedele, to offer itself as a large area of resonance in which the singing can vibrate and which the singing, in turn, sets vibrating. Fedele tells us: "The orchestra becomes a metaphor for discovery. The discovery of a simple and immediate perception of the universe, both through our senses and through our sentiments, which man attains by means of an extreme effort of synthesis and humility".
The voice of man, as proclaimed in the words of Marguerite Yourcenar, is expressed through that of two sopranos, using a compositional technique that Fedele has taken to its extreme degree of refinement. Again in his words, "the use of two female voices allowed me to diffuse onto two different planes those fragments of sense projected by the text like rays of blinding sun; it allowed me to create chiaroscuro effects, thick polyphonies, internal resonances, echoes, reverberations, two-part organum, complex melopoeia and barely uttered whispers in a succession of scenes as changeable as the atmospheres that each brief poem evokes". The original French text is presented in its entirety, superimposed over its almost complete translation into Italian adopting a principle of mysterious and intriguing resonance.
by Claudio Proietti